Dacci oggi il nostro pane quotidiano, pregano i Cristiani, e sembra la cosa più ovvia: il pane non è forse il cibo per eccellenza? 'Pane' diventa allora sinonimo dl 'cibo', indica tutti i cibi possibili, di cui gli uomini hanno bisogno per vivere. Ma le cose non sono così semplici.
    Il pane non è affatto un cibo ovvio, semplice, 'naturale'. È, invece, un cibo estremamente complesso, il prodotto di un lungo processo produttivo e di una raffinata civiltà alimentare. Dalla semina al raccolto del grano, dalla trebbiatura dei chicchi alla loro macinazione per ridurli in farina e ai sistemi per conservarne la lungo il corso dell'anno, dall'impasto della farina con l'acqua alla sua cottura nel forno, il processo si svolge per tappe delicatezza, che necessitano di un sapiente controllo e non hanno assolutamente nulla di 'naturale': presuppongono un alto grado di conoscenze, capacità, esperienza.
    Decisivo, in tutto ciò, il misterioso fenomeno della lievitazione, che l'uomo 'scopre' in natura, ma poi riesce a duplicare, impadronendosi di questa tecnica e ponendola a base di una creazione totalmente nuova e artificiale. Ecco perchè nelle antiche società mediterranee il pane è simbolo della civiltà e dell'identità stessa dell'uomo, che si differenzia dagli altri animali in quanto agisce sulla natura, ne controlla e determina i fenomeni, invece di subirli passivamente.
    Per Omero e per tutti i Greci antichi, 'mangiatori di pane' è sinonimo di 'uomini', ma già nel Poema di Gilgamesh, un testo sumerico del secondo millennio a. C., il processo di civilizzazione dell'uomo selvatico rappresentato da un personaggio di nome Enkidu viene fatto coincidere con il momento in cui egli non si limita più a consumare cibi e bevande disponibili in natura, come le erbe selvatiche, l'acqua o il latte, ma comincia a mangiare pane e a bere birra, prodotti 'artificiali' di cui viene a conoscenza grazie a una donna che gliene fa dono: il mito riconosce, dunque, al sesso femminile una priorità storica e culturale nel processo di 'invenzione' dell'agricoltura, della cottura e in ultima analisi della cucina.
    Grazie al pane e alla birra, l'uomo si separa dalle bestie ed entra nello stadio maturo della civiltà. Il legame fra pane e birra, suggerito dal testo sumerico (presso altri popoli, come i Greci o gli Ebrei, si troverà, invece, l'accostamento pane vino), non ha solo un valore simbolico, cioè non significa solamente l'uscita dallo stato selvatico e l'inizio di una civiltà umana che 'fabbrica' il suo cibo e la sua bevanda. Fra le due cose vi è anche un legame concreto, tecnico, poichè entrambi i prodotti, il pane e la birra, nascono dalla fermentazione e dalla lievitazione dei cereali.
    Non è strano, dunque, che le due 'invenzioni' si trovino storicamente appaiate: nei dipinti dell'antico Egitto (dove, probabilmente, ebbe origine l'arte di fare il pane) si vedono figure di uomini e, soprattutto, donne, impegnate nella fabbricazione del pane e della birra, contemporaneamente. La religione cristiana si sviluppò come già quella ebraica nel cuore del Mediterraneo, là dove, appunto, aveva avuto origine da secoli la cultura del pane. Essa, pertanto, ereditò quella tradizione, individuando il pane come alimento base non solo dell'uomo in genere, come per Omero o per gli antichi Sumeri ma, più in particolare, dell'uomo cristiano, cioè 'civilizzato' alla nuova fede.
    Con il miracolo eucaristico, evocazione del racconto evangelico dell'Ultima Cena, il pane assunse un significato ancora più forte, diventando un alimento sacro, capace di mettere l'uomo in diretto contatto con Dio. 'Dacci oggi il nostro pane quotidiano' è un'invocazione che assume, nel Padre nostro, una fortissima carica emotiva e per così dire 'ideologica'. Ecco perchè nel Medioevo epoca in cui il Cristianesimo, dopo essere diventato religione ufficiale dell'impero romano, si afferma nel continente europeo la diffusione della nuova religione è anche una diffusione della 'cultura del pane'.
    Le popolazioni germaniche che in quell'epoca vengono a incontrarsi e a scontrarsi con i brandelli residui dell'impero non solo vengono 'educate' alla fede cristiana (che combatte una guerra anche molto violenta con le diverse tradizioni religiose di quei popoli), ma assimilano, contestualmente, anche i valori alimentari e culturali legati al pane. Per questo motivo i vescovi e gli abati che via via evangelizzano nuovi popoli e nuove regioni d'Europa sono spesso descritti dalle loro biografie come diffusori anche dell'agricoltura e della viticoltura: il pane e il vino sono i loro indispensabili 'strumenti del mestiere', simboli di fede oltre che di un diverso modello alimentare. Il pane diviene l'alimento per eccellenza degli Europei, come già, in antico, lo era stato per i popoli del Mediterraneo orientale.
    Nel corso dei secoli, l'importanza dei cereali nell'alimentazione non è stata sempre la stessa: se nel primo Medioevo le attività di sfruttamento della foresta e delle acque (caccia, pesca, allevamento) fornivano anche ai ceti poveri molta carne e molto pesce, in seguito ciò non fu più possibile perchè la crescita demografica provocò una diminuzione progressiva degli spazi boschivi e un allargamento delle superfici coltivate, e perchè i ceti dominanti esclusero i più umili, le collettività rurali, dall'uso delle foreste.
    Dai secoli centrali del Medioevo in poi, fin quasi ai giorni nostri, le classi povere si sono nutrite, perciò, principalmente di cereali. Ma 'cereali' non significa necessariamente 'pane'. I contadini, anzi, si nutrivano in prevalenza di altri cibi: zuppe, polente, minestre. E ciò perché i cereali che coltivavano e consumavano erano in gran parte cereali inferiori, più robusti e più redditizi del frumento, ma inadatti alla panificazione: l'orzo, l'avena, il miglio, il farro, la spelta, il sorgo si prestavano meglio ad altre preparazioni. Anche il pane, d'altronde, che si faceva soprattutto con la segale, aveva un colore, un sapore e una consistenza assai diversi da quelli del frumento. Quest'ultimo restò per tanti secoli fino agli inizi del '900 un lusso per signori o per ricchi borghesi. Per coloro che, insomma, non basavano sul pane (ma sulla carne) la loro alimentazione, e riuscivano a trasformare perfino i cereali in un prodotto di pregio.
    Nel regime alimentare dei contadini, invece, i pani 'poveri' di colore scuro, le focacce mal lievitate e le polente (dapprima di miglio o d'avena, quindi, dal '600 '700 in poi, di mais) avevano un'importanza decisiva nel regime alimentare. Erano cibi 'da riempimento' che meglio di altri riuscivano ad allontanare lo spettro e la sensazione della fame. Si è calcolato che il 70 - 80 per cento dell'apporto calorico venisse, appunto, dai cereali o da altri farinacei, come le leguminose (fagioli, fave, ceci, piselli), le castagne (nelle zone di montagna) o, nei periodi di peggiore carestia, le ghiande.
    Solo nella seconda metà dell'800 la situazione cominciò a cambiare, su due piani diversi, paralleli e solo apparentemente contraddittori: da un lato si diffuse in modo più ampio il consumo di frumento e di pane bianco (i cereali, cioè, cominciarono a uscire almeno in parte dall'ambito della pura necessità per entrare anche in quello del piacere); dall'altro diminuì, nell'insieme, l'importanza del pane e dei cereali nel regime alimentare, divenuto via via più ricco e variato. Questa storica inversione di tendenza si verificò dapprima in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi in Francia, in Germania e via via in altri Paesi; in Italia essa ha cominciato ad avverarsi solo a metà del nostro secolo, dopo il secondo conflitto mondiale.
    Oggi, che il morso della fame sembra avere abbandonato, si spera definitivamente, queste regioni fortunate del mondo, il 'pane quotidiano' non è più così importante nella nostra mensa, come lo è stato per tanti secoli. Questo è certamente un segno positivo se si pensa alla fame e alle sofferenze che hanno scandito la storia dell'alimentazione e che solo l'uso massiccio di cereali è riuscito in qualche modo ad alleviare ma nello stesso tempo appare indispensabile preservare e trasmettere una cultura che, fra molte amarezze, ha anche consegnato un prezioso patrimonio di esperienze e di sapere. Liberati dal vincolo della necessità, che ha storicamente sostenuto la cultura del pane e dei cereali, potremo apprezzarne meglio i valori gastronomici e persino arricchirli. Se i pani di cereali inferiori riescono oggi ad avere tanta attrattiva, fino a comparire costosissimi nei banchi delle erboristerie o di cibi 'naturali', non è solo per il venir meno della memoria storica o per il capriccioso desiderio di sfiziosità alternative, ma anche perché la cultura dell'abbondanza consente di trasformarli in una nuova occasione di piacere.   

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